Esterovestizione: nuove pronunce della Cassazione

Su gentile segnalazione dell’Avv. Davide Greco dello Studio Cocchi ed Associati di Milano, vi segnalo il commento, pubblicato dalla rivista specializzata “Il fisco” nel n. 35/2022 a due ordinanze della Corte di Cassazione,  nn. 23150 e 23225 pubblicate in data 25 luglio 2022 e relative ad un caso di asserita esterovestizione di una società di diritto cinese la quale, a giudizio dell’Agenzia delle Entrate, si sarebbe dovuta considerare fiscalmente residente in Italia in virtù di due ordini di motivi considerati prevalenti. Ma prima di addentraci nel commento delle due ordinanze, ricordo ai I lettori di questo blog, che mi sono più volte occupato di questo tema negli articoli: Via libera della Cassazione alle Holding ; Cassazione: non c’è elusione nelle operazioni di Leveraged Buyout ; Le convenzioni contro le doppie imposizioni ; Esterovestizione – Che cos’è e quali sono i principi per determinarla ; Holding estera – Rigettata la tesi di AdE sull’esterovestizione ; Esterovestizione e stabile organizzazione occulta ; D&G cade l’accusa di esterovestizione ; Esterovestizione ed abuso del diritto ; Esterovestizione: un fenomeno diffuso Questo perchè ritengo che sia sempre utile, informare i lettori sui potenziali rischi di mettere in atto a cuor leggero iniziative sull’estero, senza avvalersi di un professionista specializzato. Tornando alle due ordinanze, segnalo che il primo motivo è che la Corte ha evidenziato che nel consiglio di amministrazione della società cinese sedevano amministratori residenti in Italia, i quali erano anche amministratori della casa madre italiana e, come tali, presenti in pianta stabile nel territorio nazionale. In secondo luogo, poiché il general manager cinese, dalla verifica fiscale svolta, venne accertato essere depauperato di qualunque potere decisionale operando, di fatto, come un responsabile di stabilimento subordinato all’effettivo organo di direzione stabilito in Italia. Le ordinanze in commento, le quali seguono quelle pubblicate nel mese di Aprile di quest’anno (cfr. Cass n. 11709 e 11710 dell’11 aprile 2022) e relative alle medesime parti, ma a diversi periodi d’imposta, si lasciano apprezzare almeno sotto due differenti profili. Il primo profilo è indiscutibilmente quello relativo al rapporto tra il concetto di residenza fiscale delle società di cui all’articolo 73, comma 3, del TUIR e quello di esterovestizione culminato nell’enunciazione del seguente principio di diritto: “[i]n materia di imposte sui redditi delle società, l’art. 73, comma 3, D.P.R n. 917 del 1986 individua i criteri di collegamento (la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale), paritetici ed alternativi, delle società e degli enti con il territorio dello Stato, la cui ricorrenza, per la maggior parte del periodo d’imposta, determina la residenza in Italia e l’assoggettamento alla potestà impositiva del fisco italiano, a prescindere dall’accertamento di un’eventuale finalità elusiva della contribuente, che sia volta a perseguire uno specifico vantaggio fiscale che altrimenti non le spetterebbe. Il secondo profilo, invece, ha ad oggetto l’indagine del concetto di sede dell’amministrazione. In questa sede, quello che mi importa sottolineare è come la Suprema Corte, ripercorrendo le osservazioni fatte dall’Italia all’articolo 4 del Commentario OCSE (in tutte le sue versioni dal 2003 al 2014) abbia “abbracciato” la teoria secondo cui ai fini dell’individuazione della sede dell’amministrazione di una società si debba avere riguardo anche al luogo ove l’attività principale e sostanziale dell’ente viene svolta. In sostanza, dunque, al fine di individuare la sede di direzione effettiva (rectius, la sede dell’amministrazione) di una società non basta fare riferimento al luogo di svolgimento della “prevalente attività direttiva e amministrativa”, ma occorre considerare anche il “luogo ove è esercitata l’attività principale. Questo articolo fornisce informazioni di carattere generale e non sostituisce la consulenza personalizzata. 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