Scambio automatico di informazioni

In questo blog abbiamo dedicato diversi articoli al CRS ed al FACTA . Sono due strumenti che sono stati introdotti, uno dall’OCSE e uno dagli Stati Uniti d’America, per contrastare i fenomeni di evasione e per avere maggior controllo sui movimenti dei capitali. Come abbiamo avuto modo di scrivere precedentemente, occorre da parte di chi approccia la fiscalità internazionale, smettere immediatamente con comportamenti irresponsabili “fai da te”, oppure cercare soluzioni gratuite sul web, ma piuttosto affidarsi a dei veri professionisti specializzati, senza pensare che la fiscalità internazionale sia rimasta ai tempi degli anni ’70. Adesso viviamo in un era fortemente digitalizzata e possiamo toccare con mano gli effetti del cosidetto “scambio automatico di informazioni finanziarie” tra Paesi, la strategia introdotta dall’OCSE  ( Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico ) per favorire l’emersione di capitali offshore. Secondo i dati diffusi alcuni giorni fa, 97 Paesi nel 2019 hanno permesso alle autorità di analizzare 84 milioni di conti offshore per un totale di 10 trilioni (10mila miliardi) di euro. Ma tutto lascia immaginare che questa sia solo la punta di un iceberg che diventa sempre più grande, soprattutto nel contesto di un collasso economico globale, conseguenza della crisi sanitaria, che sta aumentando le disuguaglianze tra gli esseri umani. I numeri relativi al 2019 segnano un notevole passo in avanti rispetto al 2018, quando gli Stati coinvolti erano stati 96 ma gli scambi di informazioni avevano riguardato 47 milioni di conti, per un valore complessivo di 4,9 trilioni di euro. Questo incremento va ricondotto alla crescita delle relazioni bilaterali, passate in un anno da 4.500 a 6.100, e a un ampliamento della base informativa. Lo scambio automatico, partito nel 2017, “è un game changer”, ha detto il segretario generale dell’Ocse, Angel Gurría. “Sta fornendo alle nazioni nel mondo, compresi molti Paesi in via di sviluppo, una ricchezza di nuove informazioni, permettendo alle autorità fiscali di assicurarsi che i conti offshore siano adeguatamente dichiarati. Gli Stati stanno raccogliendo molte risorse necessarie, e cruciali soprattutto alla luce dell’attuale crisi collegata al Covid-19, mentre ci si sta avvicinando a un mondo in cui non ci sarà più un posto dove nascondersi”. Sulla ricchezza mondiale detenuta offshore sono possibili solo stime per difetto. I centri finanziari offshore, secondo la configurazione internazionalmente riconosciuta, si sono sviluppati negli anni ’60. Nel 1987 l’Ocse rivelava che tra il 1968 e il 1978 i depositi offshore erano passati da 11 a 385 miliardi di dollari. Alla fine degli anni ’80 solo nelle isole dei Caraibi si potevano rintracciare 400 miliardi di dollari. Nel 1991 il giornalista investigativo Nick Kochan asseriva che “almeno metà della ricchezza mondiale risiede o passa nei paradisi fiscali”. All’inizio del nuovo millennio le attività offshore si stimavano tra i 5,1 trilioni secondo lo studio legale Diamond e Diamond e i 7 trilioni di dollari calcolati da Oxfam. Nel 2012, una ricerca condotta dall’ex capo economista di McKinsey, James Henry, dal titolo “The Price of Offshore Revisited”, alzava drasticamente l’asticella della ricchezza offshore, dichiarando che i soli high-net-worth individuals nascondevano attività per un valore compreso tra i 21 e i 32 trilioni di dollari. Durante gli anni ’90 i paradisi fiscali e i centri offshore iniziarono a guadagnare l’interesse dell’opinione pubblica e le istituzioni internazionali avviarono alcune iniziative per creare standard regolamentari condivisi, affinché gli Stati recuperassero gettito. Ma senza grande successo. Richard Woodward, economista dell’Università di Coventry, in un paper dal titolo “From Boom to Doom to Boom: Offshore Financial Centres and Development in Small States” spiega perché. “Le iniziative internazionali erano piene di scappatoie ed eccezioni allegramente sfruttate dalle fertili menti dei pianificatori fiscali internazionali; in più Stati potenti e gruppi, in particolare l’industria della pianificazione fiscale internazionale, hanno diluito con successo le proposte originali”. La crisi del 2008 ebbe l’effetto di cancellare10 trilioni di dollari di ricchezza globale e un’analisi di Boston Consulting Group stima che la crisi attuale vedrà volatilizzare 16 trilioni, con conseguenze sulla crescita per almeno i prossimi 5 anni. Tuttavia, secondo l’Institute for Policy Studies, dall’inizio della pandemia i miliardari americani hanno aumentato le proprie ricchezze di quasi il 20%, cioè di 565 miliardi di dollari. Un così rapido incremento patrimoniale durante un collasso economico rende evidente come la ricchezza delle élite sia del tutto scollegata dal sistema produttivo, ma viaggi sui binari di un’accumulazione fine a se stessa, senza esclusione di colpi. Illuminante, a questo proposito, uno studio pubblicato qualche anno fa dalla Proceedings of the National Academy of Sciences, dal titolo “Higher social class predicts increased unethical behavior”. In cui i ricercatori hanno evidenziato come le persone diclasse sociale superiore si comportino in maniera meno etica delle persone di (presunta) classe sociale inferiore. I primi attuano comportamenti contro la legge mentre guidano, mentono durante una negoziazione, imbrogliano per aumentare le proprie possibilità di vincere un premio, sottraggono beni di valore agli altri e approvano un comportamento non etico sul lavoro in misura maggiore dei secondi. “Le tendenze anti-etiche sono spiegate, in parte, da un atteggiamento più favorevole rispetto all’avidità”, afferma lo studio. Secondo un report OCSE dello scorso novembre, intitolato “Exchange of information and bank deposits in international financial centres”, lo scambio automatico di informazioni tra Paesi ha favorito la riduzione dei depositi bancari nei centri finanziari internazionali da parte di persone non residenti, insieme ai programmi di voluntary disclosure e alle investigazioni fiscali. Tra il 2008 e il 2019 tali depositi si sono ridotti del 24%, ovvero di 410 miliardi di dollari. Ma “una larga parte di questa riduzione si è realizzata come immediata conseguenza della crisi finanziaria – i depositi crollarono del 13% all’inizio della crisi, dal secondo trimestre del 2008 al secondo trimestre del 2011”. Tuttavia, questo fenomeno “è stato diverso tra le varie giurisdizioni: mentre alcune hanno visto una sostanziale riduzione, altre hanno sperimentato un incremento nei depositi bancari cross-border”. È quello che potrebbe succedere anche ora. “Dal momento che molte economie stanno fronteggiando una recessione, i flussi finanziari probabilmente saranno in diminuzione”, ha dichiarato, lo scorso 31 marzo, la European Banking Authority. Il Financial Crime Enforcement Network, ufficio del dipartimento americano del Tesoro, la National Crime Agency del Regno Unito e l’Europol hanno già documentato un incremento di attività di cybercrime, insider trading, frodi e commercio di merci contraffatte direttamente collegate al caos della crisi del Covid-19. La corruzione è un altro fenomeno accentuato dalla crisi degli ultimi mesi, in ogni angolo del mondo. In Arabia Saudita alcuni funzionari sono stati arrestati per aver speculato sui prezzi delle camere d’albergo di Riyadh, utilizzate per la quarantena delle persone che rientravano nel Paese dall’estero. In Uganda alcuni ufficiali del governo sono stati condannati a5 anni di carcere per aver acquistato cibo da offrire alle persone più vulnerabili da fornitori con prezzi più alti, causando un danno allo Stato per oltre 500.000 dollari. In Colombia è stata aperta un’inchiesta sul ministro dell’agricoltura per irregolarità su contratti collegati al Covid-19. Gli Stati africani che hanno già avviato lo scambio di informazioni sono cinque: Seychelles e Sud Africa, Ghana, Nigeria, e anche uno dei principali paradisi fiscali del mondo, definitosi per anni come la “Porta di ingresso in Africa”: le Mauritius. Lo scorso anno la piccola isola dell’Oceano indiano è stata protagonista della “Mauritius Leaks investigation” da parte dell’International Consortium of Investigative Journalism, che ha svelato il sofisticato sistema che ha permesso per anni a oligarchi africani e multinazionali occidentali di nascondere capitali ed eludere il pagamento delle tasse tramite decine di trattati fiscali bilaterali con altre nazioni. Pochi giorni fa il governo delloZambia ha deciso di annullare il trattato stipulato con le Mauritius nel 2012. Vi ricordiamo  sempre che la fiscalità internazionale è una materia complessa che deve essere affrontat Affidati a Dike Consulting per la tua pianificazione fiscale o per difendere il tuo patrimonio.