
Trust in Italia: le nuove regole
Confermando i principi già sanciti nel mese di febbraio (ordinanza 3886/2015), la VI Sezione della Cassazione ha nuovamente ribadito (ordinanza 18 marzo 2015, n. 5322) che “va applicata l’imposta sulle successioni e donazioni, nella peculiare accezione concernente la costituzione di vincolo di destinazione, assunta come autonomo presupposto impositivo, sull’attribuzione di danaro, conferita in trust e destinata ad essere investita a beneficio di terzi“.
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Mediante quest’ultima decisione, la Cassazione torna ad evidenziare che l’imposta sulla costituzione dei “vincoli di destinazione” (D.L. n. 262 del 2006, art. 2, comma 47) “è istituita direttamente, ed in sé, sulla costituzione dei vincoli”, che discendono dal regolamento negoziale mediante il quale si istituisce il trust e si impone al trustee d’imprimere ai beni trasferitigli la destinazione finale, voluta dai disponenti in favore del beneficiario del trust stesso.
Puntualizza dunque la Cassazione che per “vincoli”, dunque, il legislatore fiscale non ha inteso i negozi giuridici, bensì l’effetto giuridico dinanzi descritto.
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I giudici di legittimità sottolineano poi che l’imposta sulla costituzione di vincolo di destinazione è un’imposta nuova, che – seppure accomunata solo per assonanza alla gratuità delle attribuzioni liberali, altrimenti gratuite e successorie – “conserva connotati peculiari e disomogenei rispetto a quelli dell’imposta classica sulle successioni e sulle donazioni”.
Tale peculiarità discende dalla circostanza che nell’imposta sui vincoli di destinazione – a differenza di quella tradizionale sulle successioni e donazioni – “il presupposto impositivo è correlato alla predisposizione del programma di funzionalizzazione del diritto al perseguimento degli obiettivi voluti; là dove l’oggetto consiste nel valore dell’utilità della quale il disponente, stabilendo che sia sottratta all’esercizio delle proprie facoltà proprietarie, per essere gestita da altri a beneficio di terzi, finisce con l’impoverirsi”.
La Cassazione respinge poi i dubbi di illegittimità costituzionale dell’imposta in esame, che si fondavano sulla denunciata mancanza di capacità contributiva nell’operazione sottoposta a tassazione. Ciò in quanto, per la Suprema Corte, “non rileva affatto la mancanza di arricchimento in capo al trustee, giacché il contenuto patrimoniale referente di capacità contributiva è ragguagliato all’utilità economica, che, in quanto indirizzata ad altri, si colloca al di fuori del patrimonio del disponente (oltre che di quello del gerente)”. Di conseguenza, “visto che il referente è l’utilità economica e che questa utilità è destinata ad altri, il peso del prelievo coerentemente va a gravare sull’utilità e, in definitiva, sul beneficiario finale, al quale essa è destinata a pervenire”.
Tale conclusione appare alla Suprema Corte conforme ai principi posti dalla Corte Costituzionale in tema di capacità contributiva, la quale “è da intendere come attitudine ad eseguire la prestazione imposta, correlata non già alla concreta situazione del singolo contribuente, bensì al presupposto economico al quale l’obbligazione è correlata (Corte Cost. 20 luglio 1994, n. 315), di modo che “è sufficiente che vi sia un collegamento tra prestazione imposta e presupposti economici presi in considerazione” (Corte Cost. 21 maggio 2001, n. 155)”.
Da tutto ciò la Cassazione fa altresì discendere un significativo corollario sul piano impositivo: “la materiale percezione dell’utilità, ossia, secondo la tradizionale impostazione, l’arricchimento, appartiene all’esecuzione del programma di destinazione, che, per conseguenza, non rileva ai fini dell’individuazione del momento del prelievo tributario sulla costituzione del vincolo, ma dopo, anche ai fini della eventuale riliquidazione delle aliquote e delle franchigie”.
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